Storia della birra

birreria

La birra ha una storia antichissima. Per l’alimentazione umana, la sua origine va di pari passo a quella del pane, dal momento che il processo di produzione è il medesimo.
I carboidrati contenuti nelle farine, infatti, messi in acqua fermentano e, a seconda delle proporzioni, si può ottenere un prodotto piuttosto che un altro. Questi prodotti sono stati messi a punto dalle comunità diventate stanziali, quindi legate alla coltivazione e all’allevamento.

Le prime testimonianze certe della produzione di birra sono scritte e risalgono a dipinti delle tombe egizie come al 1728-1686 a.C., esattamente al Codice egizio di Hammurabi. Nel codice era prevista la condanna a morte per chi non produceva la birra secondo le norme corrette, ad esempio mettendoci troppa acqua, e prevedeva la stessa sanzione per coloro che aprivano mescite non autorizzate.
Sembra che la Mesopotamia abbia visto per prima la professione di birraio e la sua città principale, Babilonia, contava vari tipi di birra.
Riferimenti alla birra ci sono nell’Antico Egitto, come abbiamo visto, ma anche nell’antica Grecia, a Malta, tra il popolo degli Etruschi e dei Romani. I più strenui consumatori di birra, tuttavia, erano e rimangono i popoli nordici anche perché nei paesi del Mediterraneo era concorrenziale e più amato l’utilizzo del vino. Germani e Celti bevevano birra e la usavano per sacrificare alle divinità. La birra era corollario delle feste tribali che venivano organizzate in onore degli dei e le più antiche e consolidate leggende legate alla birra derivano proprio dai popoli del Nord, Gallia, Britannia e Irlanda fra tutte.
La produzione di birra è diventata, poi, appannaggio dei monaci che dal Belgio all’Italia hanno raffinato le ricette e reso più “scientifica” la produzione del prodotto, con notevole miglioramento dello stesso. Ancora oggi le birre più famose si chiamano “d’abbazia” e vantano ricette e produzioni dei primi secoli del Mille.

La birra era un prodotto al seguito degli eserciti conquistatori che calavano dal nord, così come oggetto di regali al Sommo Pontefice. Spesso veniva elargita, come regalo, ai sudditi. I popoli conquistati ben presto impararono a produrla in grande quantità per soddisfare i militari degli eserciti occupanti, o per farne oggetto di vendita e di guadagno. Nell’Italia del medioevo la birra veniva chiamata cervogia, probabilmente da cereale e da Cerere, la dea romana delle messi, del grano e dell'orzo, Gran Madre della Terra. È probabile che la produzione e il consumo di birra nell’Italia del nord fosse, comunque, già d’uso da parte delle popolazioni autoctone.
La facilità di ottenimento della birra, infatti, sin dai tempi più remoti, può aver fatto nascere prodotti simili in varie parti del mondo. Infatti, gli agenti della fermentazione sono dei ceppi diffusi nell’ambiente, i Saccoromyces cerevisiae e i Saccaromyces carlsbergensis, che causano la fermentazione alcolica dello zucchero presente negli amidi.
La fonte di amidi più usata per la produzione di birra è l’orzo. Precisamente si utilizza l'orzo germinato ed essiccato che prende il nome di malto. Possono essere usati anche il frumento, il farro, il mais (che porta alla produzione della chica messicana), la segale e il riso (con il quale si produce il famoso saké giapponese, ad esempio), di solito combinati con l'orzo. In alcune parti del mondo si associano o si utilizzano singolarmente, per la fermentazione che serve alla produzione di birra, altre piante come la radice di manioca, il miglio e il sorgo in Africa, la patata in Brasile e l'agave in Messico.
Per produrre la birra, la fonte di amido scelta viene lasciata germinare e quindi immersa in acqua calda: in questo modo gli enzimi contenuti nell’amido lo trasformano in zuccheri che fermentano. Nel tempo i metodi si sono via via raffinati con l’utilizzo, ad esempio, di recipienti per la fermentazione di rame anziché di coccio, con un netto miglioramento delle qualità finali. Si ottiene un mosto zuccheroso che può essere aromatizzato con erbe aromatiche e frutta. Il più comune elemento che viene utilizzato in aggiunta al mosto ottenuto è il luppolino, comunemente chiamato luppolo. Si tratta di una pianta erbacea rampicante della famiglia delle Cannabacee, dalla quale si ricava il luppolino utilizzando le infiorescenze femminili a forma di cono. Il luppolo si iniziò ad usare verso il 1270 e a preferirlo ad altre piante aromatiche come rosmarino e ginepro. Sarà un editto tedesco del 1516 ad obbligare l’utilizzo solamente di luppolo, malto e acqua per la preparazione corretta della birra.
A questo punto, viene aggiunto un lievito che inizia la fermentazione vera e propria con produzione di alcol, anidride carbonica e prodotti di scarto del processo dovuti alla respirazione anaerobica (in assenza d’aria) dei lieviti.
Ogni produttore di birra, da quello antico che utilizzava ricette ottenute da tradizioni nate per tentativi ed errori, ai produttori attuali, in base alle quantità e ai tipi di prodotti aggiunti ottiene vari tipi di birra.
La birra si ottiene, dunque, soltanto da sostanzee amidacee. Altri tipi di bevanda, dalla fermentazione della frutta (uva) a quella del miele e le bevande distillate non possono essere classificate come birra.

La birra si classifica in base a molti criteri. Il primo è la birra ad alta fermentazione (ale) o a bassa fermentazione (lager). La birra ad alta fermentazione utilizza il ceppo del Saccoromyces cerevisiae che necessita di temperature più alte alle quali riesce ad esplicare la sua attività e lavora in ambiente aerobico, infatti sale alla superficie del tino durante il processo fermentativo. Verso la metà dell’Ottocento, però, furono eseguiti studi specifici sui lieviti che portarono ad isolare il Saccharomyces carlsbergensis (Carlsbergensis: dal nome della birreria danese che giunse ad isolarlo) che fermenta a temperature più basse e in ambiente anaerobico (si deposita sul fondo del tino durante il processo fermentativo). Questo portò ad ottenere prodotti più stabili e più facilmente commerciabili, in un periodo in cui era possibile controllare la temperatura e produrre impianti adatti a questo. Oggi la bassa fermentazione è il metodo di produzione di birra più utilizzato al mondo. Le birre ad alta fermetazione, tuttavia, sono richieste dalla clientela più esigente. La presenza nella birra di lievito la rende più o meno limpida: nelle birre prodotte industrialemente la limpidezza dev’essere netta in quanto i lieviti vengono eliminati.
La birra si distingue anche in base al colore che manifesta, ad esempio chiara, ambrata, rossa, scura. Il colore dipende dal tipo di maltazione subito dai cereali impiegati. Nei due gruppi, ale e lager, si classificano birre di stili, gradazioni e colori disparati. La differenza principale è che le ale sono più complesse e ricche di aromi floreali, speziati e soprattutto fruttati, mentre le lager evidenziano soprattutto il malto e il luppolo. Anche se alcune birre tecnicamente possono definirsi ale, non vengono mai chiamate così, ma con altre terminologie; è il caso delle stout, delle porter e delle birre di grano.
Esistono anche birre ottenute dalla fermentazione spontanea che vengono chiamate lambic.
Bisogna ricordare che la gradazione delle birre viene misurata in gradi saccarometrici e non alcolici. Il grado saccarometrico è meno della metà del grado alcolico. Ecco alcune caratteristiche delle birre ale.

Le birre ale inglesi

Le birre ale inglesi hanno un carattere fruttato e spesso evidenziano maggiormente il malto e il luppolo. Negli Stati Uniti sono state create alcune ale per modernizzarne il gusto

  1. Le bitter costituiscono lo stile base inglese. Spesso ambrate (ma anche dorate), mediamente di gradazione piuttosto bassa – spesso al di sotto dei 10 o anche 9 gradi saccarometri, 3,5% di gradazione alcolica – e quasi sempre con un amaro abbastanza pronunciato. Il grado di amarezza è variabile, come la gradazione che sale per le special o best bitter e ancor più per le ESB (extra special bitter). Il termine pale ale è abbastanza intercambiabile con quello di bitter, anche se è più usato per le versioni in bottiglia. La classica bitter, infatti, è alla spina, meglio ancora se non filtrata, rifermentata in fusto con carbonatazione naturale (in questo caso prende il nome di real ale);
  2. La birra mild ale ha uno stile sempre più raro: è un tipo di birra più leggera delle bitter, piuttosto scura, più tendente al dolce, delicata e saporita nonostante la bassa gradazione;
  3. La birra brown ale (altrettanto rara) possono esser considerate una versione un po' più forte delle mild;
  4. Le birre winter ale e old ale sono solitamente ambrate o scure, più dolci e adatte alla stagione invernale. Può definirsi birra da meditazione. La gradazione è più alta, anche se piuttosto variabile (per gli standard inglesi una birra al 5% è già forte, ma le old ale più forti si spingono anche verso i 7, 8, 10 gradi alcolici);
  5. Lo stile di birra più forte è quello della cosiddetta barleywine, termine coniato di recente. Si tratta di un tipo di birra di gradazione alcolica molto alta, 8-10% e anche più, a volte sciropposa o caramellata, piuttosto luppolata, ma con l'amaro bilanciato dalla dolcezza del malto. La patria delle barleywine sono gli Stati Uniti;
  6. La birra India pale ale originariamente era prodotta in Gran Bretagna per l'esportazione nelle colonie, ed era caratterizzata da una luppolatura ed un amaro eccezionali. Oggi sono usate soprattutto negli Stati Uniti dove prendono anche il nome di american pale ale.

Le birre ale belghe

  1. Le birre ale belghe sono in genere decisamente più fruttate di quelle inglesi, spesso speziate ed a volte acidule. Anche in questo caso si hanno molti stili;
  2. Le blond ale costituiscono uno stile non molto tradizionale, ma sono sempre più diffuse e sono considerabili come stile “base” (toccano comunque vertici eccezionali con la Westvleteren Blond).
  3. Le belgian pale ale sono più tradizionali ma meno diffuse, sono affini alle cugine inglesi ma con maggior carattere di lievito.
  4. Le saison sono ben caratterizzate: dorate o ambrate, a volte acidule, ben luppolate e speziate.
  5. Le birre d'abbazia e trappiste sono ben conosciute ma non sono uno stile, bensì - in un certo senso - una denominazione di origine: infatti le trappiste sono piuttosto diverse tra loro – pur con qualche caratteristica comune – ma la denominazione è precisa e comporta che la birra sia effettivamente prodotta da o sotto il controllo diretto di monaci trappisti. "Birra d'abbazia" è invece un termine meno significativo, che indica uno stile vagamente nell'ambito di quelli delle trappiste vere, ed una connessione più o meno remota con un'abbazia ancora esistente o meno; ma la produzione comunque è “laica”. In questa categoria troviamo ad esempio la Affligem.

Le birre trappiste hanno dato origine a diversi stili, così come le stout, birre ad alta fermentazione caratterizzate da un colore molto scuro (nero) e una tostatura molto marcata; in genere, la gradazione è relativamente bassa e l'amaro intenso; l'aroma del luppolo è invece moderato, sovrastato da quelli tipici di cioccolato e caffè. Le porter si possono considerare delle stout meno intense. Sono birre ad alta fermentazione caratterizzate dall'ampio uso di frumento (50% e oltre).
Per le birre lager, invece, riconosciamo queste caratteristiche fondamentali:

  1. le birre lager chiare, tra cui le pils sono le più classiche, caratterizzate dal colore chiaro o dorato, dalla luppolatura abbondante e dall'amaro pronunciato. Le pils originali sono boeme, ceche e renane; le helles tipiche bavaresi, meno amare e più maltate; le dortmunder, leggermente più forti;
  2. tre stili affini sono dati dalla birra Vienna, Märzen e Oktoberfestbier: sono birre di colore più intenso, con gradazione mediamente alta (6% circa) e malto abbastanza pronunciato;
  3. molte lager sono anche rosse o ambrate, di difficile classificazione;
  4. le tipiche tedesche scure e affini non hanno una molto alta: distinguiamo le dunkel, brune e decisamente dolci e maltate; le schwarz (più rare), più scure e più tostate, una sorta di stout (meno amare e più maltate) a bassa fermentazione; le birre tedesche più forti sono le bock, in genere di gradazione piuttosto alta (6.5% - 7.5%), di colore chiaro, gusto maltato appena equilibrato dal luppolo, e le doppelbock, scure, di gradazione altrettanto e più alta (7-8%), ancora con il malto in evidenza e note caramellate.

Si hanno anche stili ibridi in quanto le birre fermentano con un lievito ad alta fermentazione, ma ad una temperatura relativamente bassa, e vengono lasciate maturate ancora più al freddo. Hanno quindi gusto e aroma meno fruttato e più pulito rispetto alle vere e proprie ale. Il contrario avviene per le californianesteam beer (o California common ale), fermentate a caldo con un lievito a bassa fermentazione.

È da notare che la notissima denominazione “birra a doppio malto” si riferisce ad un altro criterio di classificazione della birra, di natura esclusivamente fiscale. Non significa assolutamente che la birra contenga il doppio del malto rispetto ad una birra diversa. Infatti, il grado alcolico della birra è generalmente misurato in percentuale di alcol sul volume della bevanda (detto titolo alcolometricovolumico), o alla quantità di zuccheri fermentabili presenti nel mosto prima della fermentazione, misurato in gradi Plato. In base a questo criterio, le denominazioni possono variare da nazione a nazione. In Italia, ad esempio, si possono fregiare dell'appellativo birra doppio malto le birre con non meno di 14,5 gradi Plato; si chiamano birre speciali se il grado è più di 12,5; si chiama soltanto birra quando il grado Plato è di almeno 10,5 e titolo alcolometrico volumico superiore a 3,5%. Passiamo, poi, alla birra leggera o birra light se il prodotto ha grado Plato non inferiore a 5 e non superiore a 10,5 e titolo alcolometrico volumico superiore a 1,2% e non superiore a 3,5%. La birra è detta analcolica se possiede grado Plato non inferiore a 3 e non superiore a 8 e con titolo alcolometrico volumico non superiore a 1,2%.
In Italia si producono molti tipi di birra e sul territorio nazionale esistono stabilimenti di marche famosissime, oltre ai molti microbirrifici, cioè produttori artigianali di birra, non pastorizzata e talvolta non filtrata, con una produzione annuale limitata. La produzione mondiale di birra ammonta ad oltre duecento milioni di euro. L’Italia, oltre alla produzione nazionale, importa molti ettolitri di birra all’anno, con consumi che aumentano costantemente, anche se la maggiore quantità di birra consumata è d’importazione.

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